04 dicembre 2009

Evviva

Questo blog ha cessato le attività e si trasferisce altrove.
Già da tempo si sentiva aria di cambiamento: per questo motivo ho fatto su le mie cose, ho rimpito gli scatoloni di vestiti e sono pronta per andarmene.
Questi 4 anni insieme sono stati indimenticabili. Insieme a mia mamma, intendo, e alla gatta. Ho amato la convivenza, anche se adesso torno a vivere da sola.
Ci ritroveremo sicuramente in qualche postribolo della rete dimenticato da Dio e dagli uomini. Ma se volete essere certi di incappare nel mio prossimo mirabolante blog, potete mandarmi una richiesta in carta bollata qui e io vi manderò il link.
Come si suol dire in questi casi, salutiamoci gioiosamente con un caldo e rassicurante: addio.

23 ottobre 2009

Leggi inesorabili

Il giorno prima del diluvio universale, Noè lavò la macchina.

22 ottobre 2009

Vero amore

Il rapporto d'amore più duraturo e soddisfacente che ho avuto in questi anni è stato quello con Internet.
La nostra storia è costellata di momenti meravigliosi e romantici. La prima volta che ho navigato, ad esempio, è stato alla festa dell'Unità di Modena, nel 1996, in una postazione semi-deserta allestita in mezzo a un campo. Avevo sulle ginocchia un libricino sul WWW uscito in allegato con Repubblica, e cercavo di capire che cos'era un motore di ricerca e soprattutto che cosa dovevo cercare esattamente. Quella sera usai Altavista: mi vengono i brividi al sol pensiero.
Poi, l'Università ci mise a disposizione un piccolo laboratorio, dove potevamo fare le nostre prove e le nostre ricerche in completa intimità. Da sola imparai a usare explorer e la posta elettronica, mentre qualcuno mi insegnò che esistevano anche netscape e eudora (mi viene il magone) e che Internet poteva essere un posto con mille sfaccettature.
Nel 1999 la svolta: entrando nel mio primo anno fuori corso, invece di affrettarmi a fare la tesi decisi di aggiungere un altro esame e frequentai una serie di lezioni per imparare a fare i siti internet.
I siti internet non ho mai imparato a farli sul serio, in compenso quel corso mi fece diventare una smanettona e mi diede gli strumenti per poter vessare tutti i tecnici informatici con cui avrei lavorato in seguito.
Da allora Internet è stato il mio compagno, il mio amico e alleato: i primi tempi mi ha fatto guadagnare dollaroni sonanti perché in confronto ai cinquantenni, che non ci capivano un'acca ma che dirigevano le aziende, io ero una guru; poi mi ha permesso di comunicare con le mie amiche che abitano a quintilioni di chilometri da me, facendomi sentire meno sola e isolata; infine mi ha consentito di imparare cose che non sapevo, per la maggior parte, forse, cose inutili, ma che comunque non sapevo.
Col tempo e il disuso, ho dimenticato gran parte delle cose apprese un dì: per questo, chi potesse radiografare i miei pensieri oggi troverebbe concetti abbandonati e nebulosi come FTP, CGI-BIN, pacchetto di dati, server-client e via andare. Tuttavia, ogni volta che ho avuto bisogno di modificare il template di un blog o la pagina di un sito, dopo tre o quattromila tentativi ce l'ho sempre fatta: queste sono soddisfazioni.

Bestie selvagge


Il Wildlife Photographer of the Year è José Luis Rodríguez. Quanto tempo deve essere stato appostato per scattare una foto così?
Se mai ci trovassimo attorno a un tavolo, gli potrei spiegare come si fotografano gli aironi.

17 ottobre 2009

Riqualificazione

Cacciatore,
che passeggi per il campo in tuta mimetica imbracciando il tuo fucile a canna lunga, mentre il tuo bel cane dal pelo fulvo perlustra le zolle di terra in cerca della preda appena uccisa, perché, con tutta quella attrezzatura color sottobosco, non ti riqualifichi e vai a funghi?

12 ottobre 2009

All kind of roses

La felicità può arrivare all'improvviso, in una fredda giornata di inizio autunno.
Oggi, per me, è arrivata alle ore 18.44, mentre sostavo in un parcheggio in attesa di entrare in palestra.
Chiusa dentro la clio, che mi riparava e mi faceva sentire parte di qualcosa (Io-e-la-Clio), ammazzavo il tempo ascoltando Caterpillar e compiacendomi di quanto fosse proprio un ottimo programma radiofonico, ricco di contenuti e spunti interessanti.
A un certo punto è partita questa canzone "All kind of roses" di Yusuf Islam (che quando ero piccola si chiamava Cat Stevens e che adesso va in giro truccato da Binladen) e il cielo era così limpido e carico di belle speranze che per un momento mi sono sentita felice.
Poi la canzone è finita e la felicità pure. Sono salita in palestra, ho indossato la tuta da mimo e ci ho dato dentro con la danza classica.

10 ottobre 2009

Matematica delle proporzioni

Lui,
che guida una Porche Cayenne con il braccio appoggiato fuori dal finestrino aperto, che mi supera in curva strombazzando per segnalarmi che vado troppo piano, che manda un sms mentre va ai cento all’ora, che si mette le dita nel naso pensando che i vetri fumé lo proteggano da sguardi indiscreti, che si ferma al centro della strada per parlare con un automobilista amico suo, che sgasa - fermo al semaforo - se sulle strisce pedonali passa una donna.
Se la matematica delle proporzioni non m’inganna, dovrebbe avere un pisello di circa 1,3 cm.

07 ottobre 2009

Quando manca l'acqua

Avete mai notato quanto siamo a disagio quando interrompono l'erogazione dell'acqua? Ci aggiriamo per casa seccati, perché dovevamo proprio farci un tè oppure stavamo per lavare un piatto o era ora di dare da bere alle piante oppure peggio: siamo insaponati ma non abbiamo fatto in tempo a sciacquarci.
Quando finalmente l'acqua ricomincia a uscire dai nostri rubinetti ci sentiamo entusiasti, fortunati e pieni di gratitudine per lo scampato pericolo: quello di essere privati di una cosa che siamo abituati ad avere e che diamo per scontata.
E' solo quando proviamo per dieci minuti a stare senza qualcosa di assodato che le diamo l'attenzione che merita. Il resto del tempo, non ci facciamo nemmeno caso. Quante sono le cose che fanno parte della nostra quotidianità e che diamo per scontate?
A me ne vengono in mente solo alcune: la libertà di esprimere le proprie opinioni, la possibilità di muoversi in auto, in treno o in aereo, l'affetto della mamma o del proprio compagno/a, il riscaldamento nelle fredde sere d'inverno, il cinema, internet, la possibilità di studiare, avere le scarpe, poter andare al ristorante.
Ecco, secondo me, quando siamo sull'orlo di una crisi di nervi perché il nostro treno è in ritardo, o perché per qualche motivo non possiamo andare in vacanza, quando sfioriamo l'isteria perché l'adsl non funziona o perché ci si è scaricato il cellulare, dovremmo fare un bel respiro profondo e ripensare alla qualità dei nostri bisogni e dei nostri desideri.

05 ottobre 2009

Torino



Torino è una città favolosa. Me ne sono innamorata questo fine settimana e più di ogni altra cosa desidero andare subito a viverci.
Mi hanno conquistata gli angolini romantici, le colline con le ville, i giardini e i parchi sul fiume e le meravigliose caffetterie, dalle quali le cioccolate in tazza e i bignè alla panna montata mi chiamavano a gran voce.
Sono stata al Museo egizio a vedere il gatto-mummia, il coccodrillo-mummia e il babbuino-mummia, ma anche i papiri, le olive e i pani millenari e tutta una serie di statue bellissime e abilmente fregate agli egiziani.
L'amica che era con me mi ha fatto notare che tutti i turisti erano morbosamente attratti dalle mummie senza fasce e che il loro sguardo sui crani nudi, sulle orbite riempite di garza, sulle mani ossute e sui residui di capelli, aveva un che di pornografico. Forse, guardando questi ex vivi, godiamo sentendoci più vivi che mai.
Sono anche stata al Museo del Cinema che mi ha molto colpita e che mi aspettava con una bella mostra sui manga (mamma mia, quanto sono autoreferenziale stasera).

Amici

Il miglior post dell'anno lo ha scritto una mia amica.

28 settembre 2009

Love Line

Oggi parliamo di autoerotismo.
L'autoerotismo è quella pratica solitaria che ci vede ridere a crepapelle tutte le volte che facciamo una bella battuta.
L'autoerotismo è un'esperienza piuttosto diffusa tra gli esseri umani dotati di senso dell'umorismo ed è pressoché innocuo.
Tuttavia, l'autoerotismo può diventare patologico ogni qual volta ci ritroviamo a ridere da soli, e fuori contesto, ripensando a una cosa divertentissima che abbiamo detto tempo addietro. A quel punto, di solito, c'è un passante davanti a noi che ci chiede "cazzo ridi?" e può anche innescarsi un meccanismo di violenza metropolitana.
Il consiglio, in questi casi, è di respirare profondamente col diaframma e di distogliere l'attenzione, pensando ai soldi che dobbiamo al fisco.

20 settembre 2009

Sorriso muto

Pochi giorni fa mi è capitato di passare dall'Isola che c'è, un magazzino di cose riciclate dove mia mamma fa la volontaria. Le ho portato un paio di schermi per PC rotti, sperando che i loro tecnici siano in grado di ripararli e rivenderli. Il ricavato degli oggetti aggiustati e rivenduti andrà a finanziare un progetto nello Sri Lanka.
Quando sono arrivata mi ha accolta un ragazzo dalla pelle ambrata, che mi ha aiutata a scaricare gli schermi.
Il ragazzo lavora lì come tuttofare, è singalese ed è sordomuto. La cosa buffa è che mia mamma gli parla come se ci sentisse benissimo. Quando sono arrivata, infatti, gli ha detto "lei è mia figlia". Ovviamente, lui non ha sentito un cazzo, cosa che io ho subito voluto puntualizzare. Per fargli capire il concetto, che in quel momento ci sembrava rilevante, io e mia mamma ci siamo avvicinate, ci siamo abbracciate e gli abbiamo mostrato la nostra somiglianza.
Io e mia mamma, infatti, ci assomigliamo in molti aspetti. Abbiamo lo stesso modo di sorridere, gli stessi occhi, e lo stesso carattere di merda: idealista, intransigente, spigoloso e incline all'asocialità. Lei però è mossa da un sano pragmatismo, che solitamente la fa apprezzare dai più, mentre io sono speculativa e segaiola.
Il ragazzo, quando ci ha viste vicine, ha sorriso e ha accennato un sì con la testa. Poi è andato a portare gli schermi dentro il magazzino. Al ritorno, per dimostrarci che aveva capito, ci ha guardate sorridendo e ha raccolto le braccia, come cullando un neonato. Mi sono emozionata.

K-shirt

Ho una K-shirt. Non è una maglietta normale, è la mia maglietta karmica.
Nata come una banale fruit bianca, la K-shirt è stata sottoposta dalle sapienti mani della mia amica del cuore alla tecnica del batik, altrimenti detta "tecnica del vomiting" per i chiari richiami dei disegni ai risultati di certi movimenti gastrici di quando esagera col bere.
La K-shirt è un pezzo da 90 del mio guardaroba ed è impresentabile: ha uno sfondo color pesca sbiadito e chiazze di colore altrettanto sbiadite e gettate qua e là, in ordine rigorosamente sparso. Quando indosso la K-shirt il mio potenziale erotico ha un picco verso il basso e gli astanti, soprattutto nella persona di mia madre, inorridiscono.
A questo punto avrete capito che per me la K-shirt non è soltanto una maglietta, è uno stato mentale: per questo motivo non ho il cuore di gettarla via e, anzi, la prendo con me in tutte le mie avventure.
Due giorni fa ho ricominciato la danza classica e sfogliando le foto che mi hanno scattato lo scorso anno a lezione, mi sono accorta che il fotografo è venuto l'unico giorno in cui indossavo la maglietta karmica, che alla sbarra fa proprio la sua figura.
Quest'anno, poi, in Abruzzo, qualcuno mi ha anche detto: "come ti dona quel colore!" E io sono ancora qui che mi chiedo se era un complimento o una presa per il culo.

01 settembre 2009

Fuori!

Usciamo e incontriamoci, noi che ci sentiamo sempre un po' fuori luogo, noi che non siamo mai abbastanza belli e tonici, noi che non abbiamo uno status sociale.
Spegniamo i computer, abbandoniamo i nostri antri bui e portiamo in giro la nostra faccia senza nasconderla dietro uno schermo: per noi timidi lo schermo è una gran bella invenzione, ma alle volte, se non stiamo attenti, può falsare i rapporti e mostrarci una realtà un tantino distorta.
Andiamo nel mondo a incontrare chi è diverso da noi: sorridiamo al nostro vicino di autobus, abbassiamo i fucili e le maschere. Parliamoci, guardandoci negli occhi, senza vergognarci perché abbiamo i capelli scrausi o perché non siamo abbastanza brillanti come il nostro interlocutore.
Osserviamo gli altri, riconosciamoci nei loro piccoli gesti insicuri: aggiustarsi gli occhiali, spostare lo sguardo altrove, accendersi una sigaretta.
In fin dei conti, siamo solo creature spaventate che vorrebbero far parte di qualcosa: facciamolo!
Vabè, dai, raga, ho detto la mia. Adesso tutti su facebook.

29 agosto 2009

Sopravvivenza





E fu un massacro. Non tanto per le altezze spaventose o per la paura di morire, che pure ho avuto, e che mi ha stupita per l'attaccamento alla vita (e alla roccia) che ha saputo strapparmi, ma per l'immane fatica.
La fatica ci incattivisce e ci rende peggiori di quel che già siamo. A me in particolare toglie il fiato e la possibilità di parlare. Andavo su per la salita in silenzio, con la consapevolezza che avevo finito la batteria e con una gran voglia di mettermi a piangere.
Non mi sono messa a piangere, mi sono limitata a mugolare che ero stanca e che non ce la facevo. Una litania di lamenti e male parole, perché la strada era troppa, avevo freddo, fame, stava venendo buio e volevo la mamma.
Quando siamo arrivate al rifugio erano le 20.15. Eravamo stravolte e avevamo bisogno di una doccia. E invece no, abbiamo dovuto cenare subito, perché quei montanari alle 20.30 chiudevano la cucina. In montagna non si scherza, si cena alle 19 come i pensionati. Ci hanno messo davanti un brodino e un cucchiaio e noi, da brave bambine, abbiamo mandato giù tutto, anche se non sapevamo nemmeno più come ci chiamavamo.
Quando il sangue ha ricominiciato a circolare nei nostri cervellini fritti, ci siamo un po' riappacificate con l'impresa. Abbiamo ripensato all'apparizione dei tre camosci, a metà strada, che ci aveva lasciate commosse e stranite. Abbiamo pensato alle scalette che ci eravamo lasciate alle spalle, e a quella salita tremenda, che avevamo superato, seppur malamente. Siamo andate a dormire serene. E non abbiamo chiuso occhio.
Alle sei ci siamo tirate su, rovinate nel corpo ma pimpantissime nello spirito. Ci siamo spazzolate via una ghiotta colazione dei campioni e abbiamo affrontato il ghiacciaio.
Dopo un'ora di cammino in mezzo alla neve avevamo fatto cento metri, ma la soddisfazione era tanta, perché non sapevamo ancora che ci aspettavano altre 8 ore di cammino.
Il resto del tempo lo abbiamo tracorso nella più terribile disperazione.
Ci hanno distratte dalla disperazione soltanto gli scenari mozzafiato, la paura di cadere di sotto, i capitomboli sul ghiacciaio con il conseguente culo fradicio, gli elicotteri che cercavano i dispersi, gli scalatori che incontravamo e con cui scattava immediatamente la solidarietà montanara: "Quanto manca?" "Mah, mezz'ora": ed era sempre una mezzora di 2 ore, minimo.
All'arrivo, stranamente, non c'era nessuno ad applaudire: c'era solo un ragazzo simpatico che ci ha dato uno passaggio in macchina.
Questi i numeri della ferrata, che ho immediatamente giocato al superenalotto:
25, come i chilometri percorsi in due giorni
16, come le ore camminate
3 come noi tre
77, come le gambe delle donne, quelle che non ho più da una settimana, dato che sono tutte un livido e non si piegano neanche se glielo domandi per favore
305, come il numero del sentiero
2580, come l'altezza a cui abbiamo dormito.

19 agosto 2009

Ferrata

Domani vado a fare la mia prima ferrata sulle Dolomiti del Brenta, per vedere se è così facile morire a 35 anni cadendo in un burrone: sospetto di sì.
Ho lasciato detto a mia mamma di non prendersela con le amiche che mi ci portano, nel caso in cui finissi male, perché non è colpa loro se sono un'invornita.
L'avventura, a questo giro, si fa ancora più estrema: dobbiamo arrivare a 2400 metri, dove farà un freddo cane, e passeremo la notte in un rifugio dimenticato da dio ma non dagli uomini, con cui ci troveremo a dividere una camerata da sei, in puro stile montanaro.
Come ho fatto a farmi convincere? Se tutto va bene, nel fine settimana potremo riposare le stanche membra, ammazzandoci di polenta con fontina e di lettura. In effetti, deve essere stato questo ultimo passaggio a convincermi.

18 agosto 2009

Cow-girl

Dopo il mio periodo 150, in cui non potevo leggere libri superiori alle 150 pagine altrimenti rischiavo la fusione del motore cerebrale, sono entrata in una nuova mirabolante fase della mia vita: il periodo country.
Ascolto solo musica di Bruce Springsteen, battendo le mani al ritmo del banjo. Vesto da uomo e le mie scarpe preferite sono gli scarponi da trekking. Da qualche tempo medito inoltre di comperarmi un paio di blue jeans, da vera ragazza-mucca, visto che nel mio guardaroba da femmina civilizzata mancano.
Sono solitaria e misteriosa e non lascio guidare a nessuno la mia clio, che altrimenti si imbizzarrisce.
Ora suppongo che andrò ad accendere un falò in salotto e passerò la notte a masticare tabacco e a sputare nel fuoco.

11 agosto 2009

Diario d'Abruzzo







Primo giorno - Partenza intelligente
La mia avventura abruzzese è iniziata con una "partenza intelligente": mi sono messa in autostrada alle 10.30 del 1 agosto. Dopo un'ora ero ancora a Bologna, dopo un'altra ora ero a Imola e mi è venuto il sospetto di avere fatto una cazzata. Ma ormai era tardi.
Alle 14 ho telefonato per dire che sarei arrivata in ritardo all'appuntamento, e mi sono messa il cuore in pace. Poi la strada si è miracolosamente pulita, e in 7 ore nette sono arrivata alla meta: quando si dice fortuna.
Dopo una breve passeggiata per la città, durante la quale mi aggiravo silenziosa e con aria circospetta studiando i miei compagni di viaggio, ci siamo avviati verso l'albergo che ci avrebbe ospitati.
Nel tragitto ho sperato di essere in stanza con una ragazza che avevo visto spalmarsi le mani con amuchina in gel, segno inconfutabile del fatto che condividevamo lo stesso approccio allo schifo e che avevamo quindi ottime possibilità di diventare migliori amiche.
Purtroppo le stanze erano già state organizzate, e così mi sono ritrovata a dormire con due estranee e a condividere con loro, entrambe capellone, una doccia priva di tenda. Ho subito piantato una grana, chiedendo al capo che ci fornisse di tenda, ma poi, mano a mano che passavano i giorni, mi abituavo a nuotare in quel mare di acqua e capelli che era il post-doccia e non sollevavo più la questione. La verità è che gli esseri umani, anche i più recidivi come me, si adattano praticamente a tutto.
La sera abbiamo familiarizzato con la cucina locale, ed è stato un bel momento davvero. Fino alla fine della vacanza abbiamo bevuto Montepulciano d'Abruzzo e assaggiato tutte le meravigliose pietanze di carne e verdure della tradizione gastronomica abruzzese.
La cura per il nutrimento di tutti noi e di chi aveva esigenze alimentari diverse (c'erano vegetariani e celiaci) è stata una delle cose che più mi ha colpita e che ha caratterizzato l'ospitalità degli organizzatori.

Secondo giorno - Cascate e boschi
Ricordo soprattutto la sveglia, durissima, alle 7.20. Avevo la mia faccia peggiore, quella da 10 ore di volo intercontinentale. Con grande fatica (mia) abbiamo avviato l'attività di yoga e poi via a colazione.
Il distretto in cui ci trovavamo è denominato romanticamente "Cascate e boschi", per la ricchezza d'acqua. La nostra prima escursione, dunque, è stata verso una cascata.
Io avevo l'ansia da prestazione e l'ansia da vesciche, per via degli scarponi nuovi, da vera apprendista montanara. Ma mi ero portata una attrezzatura straordinaria per il primo soccorso di piaghe, vesciche, punture e ferite varie.
Mi sono messa il cappellino rosso in testa e sono partita.
So che vi aspettate che vi dica che ho arrancato, e invece no. La prima uscita è stata soft, ho sudato quel che dovevo sudare, ma sono arrivata dignitosamente alla meta: cioè con le gambe sotto la tavola, dato che siamo rientrati per pranzo.
In serata abbiamo avuto una sessione di yoga, in cui abbiamo fatto posture dolorosissime, volte a farci aprire almeno uno dei 7 chakra: tutto è rimasto sigillato.

Terzo giorno - Incidente
Il terzo giorno mi faceva male tutto: le gambe, per lo sforzo della camminata del giorno prima, le braccia per gli esercizi di yoga, la pancia, per la tensione.
Ho arrancato: picchiava un sole maledetto e la salita saliva. Io cercavo di tenere duro e andavo avanti a testa bassa come un mulo, perdendomi tutto il panorama.
Improvvisamente ho sentito un fruscio nei cespugli accanto a me e ho visto uscire una bestia grigia. La lepre, spaventata da un cane, invece di svicolare è corsa verso di me: ho sentito un ciocco, ed era il rumore della mia gamba contro la lepre. Dopo avere compilato il modulo cid ce ne siamo andate ognuna per la sua strada: io con un livido sulla gamba, lei intatta. Da quel momento "la leprata" è diventata un aneddoto fantastico ed è entrata a far parte della mia personale mitologia.

Quarto giorno - Gran Sasso
Il quarto giorno era in programma l'escursione più importante: quella sul Gran Sasso. Infatti pioveva.
Siamo comunque partiti, perché in montagna basta un refolo di vento per cambiare i connotati a una giornata: infatti siamo stati fortunati. Il clima era rigido, da giacca a vento, c'erano belle nubi grigie e basse, ma niente pioggia. L'escursione è stata lunga e gratificante.
Nel frattempo il gruppo iniziava a conoscersi meglio ed ad apprezzare la reciproca compagnia. Iniziavano a svilupparsi preferenze e a nascere amicizie; a volte si potevano vedere persone abbracciate.
In serata abbiamo fatto una posizione di yoga che mi ha rovinato definitivamente un ginocchio. Ancora tutti i chakra chiusi.

Quinto giorno - Il richiamo della montagna
Il quinto giorno doveva essere quello del riposo, in cui mi piantavo sotto un albero a leggere e non ne volevo sapere niente di nessuno.
Invece, anche se il ginocchio mi faceva male ed ero stanca e non avevo il fisico, le gambe volevano camminare. Perciò le ho lasciate andare insieme al gruppo, per una escursione breve.
In serata è scattata una esibizione di tango, perché la "Legge del tanguero" dice che, in mezzo a un gruppo di persone, c'è sempre qualcuno che balla il tango e che, come me, tiene archiviate in auto almeno un paio di scarpe da ballo.

Sesto giorno - Il sentiero delle ortiche
Il tango della notte precedente mi ha guarito il ginocchio (miracoli della danza): ho quindi potuto sfoggiare il mio migliore phisique du role per l'escursione, senza farmi compatire con inutili dolori alle articolazioni.
Anche in questo caso la salita è stata durissima e io non avevo fiato a sufficienza. Mi sudavano gli occhi, mi colava il naso e volevo la mamma.
Nel frattempo i rapporti tra i membri del gruppo si stringevano, le amicizie si consolidavano, si restava indietro a raccontarsi i segreti e si rideva (io, tantissimo, e quasi sempre senza motivo).
All'arrivo ci aspettava un bel sentierino di ortiche: erano anni che non prendevo un'urticata così e il bruciore mi ha ricordato certe passeggiate fatte in gioventù e quella volta che mi ha pizzicato una medusa. Sono una vera campionessa di avventure.
In serata i chakra erano ancora incazzosamente chiusi e serpeggiava una leggera malinconia al pensiero che la settimana di viaggio volgeva al termine.

Settimo giorno - Dovevo andare a camminare
Sono andata al fiume e invece avrei dovuto trovare il coraggio di fare l'ultima escursione, 800 metri di dislivello. Quelli che l'hanno fatta hanno sputato sangue e sono tornati raffreddati o offesi in qualche parte del corpo.
La sera, invece, ho detto definitivamente addio allo yoga, che proprio non fa per me.

Ottavo giorno - A casa
Prima di andare ci hanno dato il sacchettino del cibo, come gesto estremo di accudimento.
Poi tutto si è svolto troppo rapidamente, non ho fatto in tempo a salutare per bene, ho dimenticato di chiedere numeri di telefono e e-mail.
Forse, nel mio inconscio, so che alcune persone le incontrerò nuovamente.
Forse so che questa esperienza di natura e convivenza mi porterà verso nuove mete, dove incontrerò altre persone e altre montagne.