28 settembre 2009

Love Line

Oggi parliamo di autoerotismo.
L'autoerotismo è quella pratica solitaria che ci vede ridere a crepapelle tutte le volte che facciamo una bella battuta.
L'autoerotismo è un'esperienza piuttosto diffusa tra gli esseri umani dotati di senso dell'umorismo ed è pressoché innocuo.
Tuttavia, l'autoerotismo può diventare patologico ogni qual volta ci ritroviamo a ridere da soli, e fuori contesto, ripensando a una cosa divertentissima che abbiamo detto tempo addietro. A quel punto, di solito, c'è un passante davanti a noi che ci chiede "cazzo ridi?" e può anche innescarsi un meccanismo di violenza metropolitana.
Il consiglio, in questi casi, è di respirare profondamente col diaframma e di distogliere l'attenzione, pensando ai soldi che dobbiamo al fisco.

20 settembre 2009

Sorriso muto

Pochi giorni fa mi è capitato di passare dall'Isola che c'è, un magazzino di cose riciclate dove mia mamma fa la volontaria. Le ho portato un paio di schermi per PC rotti, sperando che i loro tecnici siano in grado di ripararli e rivenderli. Il ricavato degli oggetti aggiustati e rivenduti andrà a finanziare un progetto nello Sri Lanka.
Quando sono arrivata mi ha accolta un ragazzo dalla pelle ambrata, che mi ha aiutata a scaricare gli schermi.
Il ragazzo lavora lì come tuttofare, è singalese ed è sordomuto. La cosa buffa è che mia mamma gli parla come se ci sentisse benissimo. Quando sono arrivata, infatti, gli ha detto "lei è mia figlia". Ovviamente, lui non ha sentito un cazzo, cosa che io ho subito voluto puntualizzare. Per fargli capire il concetto, che in quel momento ci sembrava rilevante, io e mia mamma ci siamo avvicinate, ci siamo abbracciate e gli abbiamo mostrato la nostra somiglianza.
Io e mia mamma, infatti, ci assomigliamo in molti aspetti. Abbiamo lo stesso modo di sorridere, gli stessi occhi, e lo stesso carattere di merda: idealista, intransigente, spigoloso e incline all'asocialità. Lei però è mossa da un sano pragmatismo, che solitamente la fa apprezzare dai più, mentre io sono speculativa e segaiola.
Il ragazzo, quando ci ha viste vicine, ha sorriso e ha accennato un sì con la testa. Poi è andato a portare gli schermi dentro il magazzino. Al ritorno, per dimostrarci che aveva capito, ci ha guardate sorridendo e ha raccolto le braccia, come cullando un neonato. Mi sono emozionata.

K-shirt

Ho una K-shirt. Non è una maglietta normale, è la mia maglietta karmica.
Nata come una banale fruit bianca, la K-shirt è stata sottoposta dalle sapienti mani della mia amica del cuore alla tecnica del batik, altrimenti detta "tecnica del vomiting" per i chiari richiami dei disegni ai risultati di certi movimenti gastrici di quando esagera col bere.
La K-shirt è un pezzo da 90 del mio guardaroba ed è impresentabile: ha uno sfondo color pesca sbiadito e chiazze di colore altrettanto sbiadite e gettate qua e là, in ordine rigorosamente sparso. Quando indosso la K-shirt il mio potenziale erotico ha un picco verso il basso e gli astanti, soprattutto nella persona di mia madre, inorridiscono.
A questo punto avrete capito che per me la K-shirt non è soltanto una maglietta, è uno stato mentale: per questo motivo non ho il cuore di gettarla via e, anzi, la prendo con me in tutte le mie avventure.
Due giorni fa ho ricominciato la danza classica e sfogliando le foto che mi hanno scattato lo scorso anno a lezione, mi sono accorta che il fotografo è venuto l'unico giorno in cui indossavo la maglietta karmica, che alla sbarra fa proprio la sua figura.
Quest'anno, poi, in Abruzzo, qualcuno mi ha anche detto: "come ti dona quel colore!" E io sono ancora qui che mi chiedo se era un complimento o una presa per il culo.

01 settembre 2009

Fuori!

Usciamo e incontriamoci, noi che ci sentiamo sempre un po' fuori luogo, noi che non siamo mai abbastanza belli e tonici, noi che non abbiamo uno status sociale.
Spegniamo i computer, abbandoniamo i nostri antri bui e portiamo in giro la nostra faccia senza nasconderla dietro uno schermo: per noi timidi lo schermo è una gran bella invenzione, ma alle volte, se non stiamo attenti, può falsare i rapporti e mostrarci una realtà un tantino distorta.
Andiamo nel mondo a incontrare chi è diverso da noi: sorridiamo al nostro vicino di autobus, abbassiamo i fucili e le maschere. Parliamoci, guardandoci negli occhi, senza vergognarci perché abbiamo i capelli scrausi o perché non siamo abbastanza brillanti come il nostro interlocutore.
Osserviamo gli altri, riconosciamoci nei loro piccoli gesti insicuri: aggiustarsi gli occhiali, spostare lo sguardo altrove, accendersi una sigaretta.
In fin dei conti, siamo solo creature spaventate che vorrebbero far parte di qualcosa: facciamolo!
Vabè, dai, raga, ho detto la mia. Adesso tutti su facebook.